giovedì 28 marzo 2024

Erika e Mirko con la kappa - racconto breve

 

Sono aggrappato al balcone e mi sto chiedendo: ma come ho fatto a mettermi in questa situazione?

Facciamo un passo indietro.

Questo pomeriggio ho incrociato l’Aldives, la parrucchiera (una fraresa doc) e abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Quando parla, mi fa sentire l’eco lontana delle generazioni, che si sono avvicendate su questa bella pianura affacciata sul Po. Si esprime, utilizzando un dialetto talmente stretto, che talvolta si fa fatica a comprenderla.

Una volta era sulla spiaggia di Lido degli Estensi insieme alla figlia, il genero, il nipote Thomas e il loro cane Dog. Erano distesi comodamente al sole e una tranquilla signora toscana, che occupava l’ombrellone vicino, insieme al figlio disabile, le si era timidamente rivolta, dicendo: <<Scusate, siete italiani?>>.

<<Mo zerto che sciamo italiani>>.

<<Ah bene, potreste far spostare un po’ il cane, poiché mio figlio ha paura>>.

Ovviamente la richiesta era stata subito accolta grazie a quella sensibilità tutta emiliana per le persone in difficoltà.

Quando l’Aldives lo racconta, non può fare a meno di sorridere: <<Mo pensa te, chissà da dove pensava venissimo, la signora...>>.

L’Aldives è da sempre una contradaiola.

Rione di San Paolo, per la precisione.

Il simbolo è l’aquila sulla ruota.

Mio padre Ultimo diceva che i contradaioli sono i ferraresi più veri. O meglio, lui sentenziava: <<Sei frares, se segui il palio e tifi Spal. T’al dig mi>>.

Ah, mio padre…

Ultimo Ansaloni. I miei nonni lo avevano chiamato Ultimo, poiché avevano deciso che tre figli fossero più che sufficienti e non ne avrebbero avuti altri. Ma i nostri vicini erano andati ben oltre: il loro ultimogenito lo avevano denominato Definitivo. Più chiaro di così!

Maggio, a Ferrara, è il mese del palio più antico del mondo. Quello di Siena ci fa un baffo, ma ancora pochi in Italia lo sanno. Risale ai festeggiamenti del 1259, ripetuti nel 1279 e divenuti palio straordinario nel 1471, quando Borso d’Este era ritornato da Roma, sfoggiando l’investitura ducale appena ricevuta dal papa Paolo II.

Bhe, dicevo, che a maggio siamo continuamente coinvolti in parate e processioni, cene e festeggiamenti fino ad arrivare alla gara vera e propria nell’ultima domenica del mese. A dire il vero, anche durante il resto dell’anno la passione vive nel cuore dei ferraresi e non è raro vedere giovani, che si allenano nei parchi anche nel freddo inverno, lanciandosi bandiere e provando figurazioni complesse. E ogni tanto senti chiarine e tamburi, che ripetono antichi ritmi e suoni. Fin da piccolo, quando papà Ultimo mi accompagnava in piazza per il Palio, rimanevo affascinato dai musici, che sfilavano con i loro strumenti scintillanti e i costumi variopinti. Il ritmo dei tamburi e lo squillare delle chiarine mi faceva bruciare di passione e sentivo fin dentro l’anima la forza e la fierezza di un popolo antico, che ribadisce così la sua identità.

Il palio si corre in piazza Ariostea per conquistare il prezioso drappo dedicato a S. Giorgio, patrono ad Frara. Mio padre mi metteva a cavalcioni sulle sue spalle in modo che potessi vedere bene tutte le gare. E io mi gonfiavo di gioia, poiché ero lì insieme a lui e a migliaia di ferraresi. E ognuno tifava per la sua contrada o rione. E quella sera sarebbero esplosi i festeggiamenti dei vincitori. Se fossimo stati noi a conquistare l’agognato trofeo, tutta la città avrebbe dovuto ammettere che quell’anno eravamo stati i migliori.

Ma ritorniamo a oggi.

Saluto l’Aldives e mi reco al bar di Denis.

E’ lì che pulisce – come al solito - i suoi bicchieri. Denis sostiene con decisione che un vero barista non si lascia mai trovare fermo. <<Mo che idea pensi che dia uno immobile. ‘Sarà mica un tipo serio quel li!’ , commenterebbero i clienti>>.

<<L’anno di uscita di “Ossessione” di Luchino Visconti?>>, gli faccio appena varco la soglia.

<<Ma questa è facile, Petronio. E’ il 1943>>.

Dovete sapere che Denis e io condividiamo una insana passione per il cinema.

Orgogliosamente ferrarese. Ma non solo.

Il nostro guru è Paolo Micalizzi, critico cinematografico e storico, che conosce tutto quello che riguarda la settima arte ferrarese.

Bene.

Ogni tanto ci sfidiamo in un duello cinefilo senza esclusione di colpi.

<<Gesù, perdonatemi, ma gliele pesto>>, riprendo senza indugio.

<<Ma è facile anche questo: si tratta del film in cui Don Camillo parla con il Crocifisso di Gesù, dopo che Peppone ha confessato di essersi comportato male>>.

<<Sì, ma: continua se sei capace>>, lo sfido di nuovo.

<<Neanche per sogno - risponde Gesù – Io l’ho perdonato e anche tu lo devi perdonare. In fondo è un brav’uomo>>, replica Denis.

A questo punto, le regole della sfida cambiano. Comincio anch’io a recitare le battute a memoria: <<Gesù non ti fidare dei rossi: quelli tirano a fregare>>, declamo.

Denis riprende: <<Gesù, se vi ho servito bene fatemi una grazia: lasciate almeno che gli sbatta quel candelotto sulla schiena. Cos’è una candela, Gesù mio?>>

Io ribatto deciso: <<No – risponde Gesù – le tue mani sono fatte per benedire, non per percuotere>>

A questo punto Denis ha un momento di smarrimento, uno sbandamento, ma poi recupera: <<‘Sta bene. Le mani sono fatte per benedire, ma i piedi no!’>>

Incalzo: <<Anche questo è vero – dice Gesù – però mi raccomando , don Camillo: una sola>>

Ora tocca ancora a Denis, che questa volta deve principalmente descrivere la scena del film: <<Don Camillo si avvicina a Peppone, che è in ginocchio e sta pregando. La pedata parte come un fulmine, Peppone incassa senza battere ciglio, poi si alza e sospira, sollevato: ‘E’ dieci minuti che l’aspettavo. Adesso mi sento meglio’>>

A me spetta l’affondo finale: <<’Anch’io’, esclama don Camillo. Intanto Gesù non dice niente, ma si vede che è contento anche lui>>

Sorridiamo di gusto entrambi, anche se la scena l’abbiamo goduta in televisione più volte, ma pure leggendo i libri del grandissimo Giovannino Guareschi, altro emiliano doc di Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma.

Poi prendo il mio solito macchiato caldo in tazza.

Qualche chiacchiera sulle ultime gnus, notizie dal quartiere e veniamo interrotti da un evento inaspettato. Nel bar arriva la Erika (con la kappa), una ragazza fresca, vitale, acqua e sapone. E’ andata a convivere con Mirko (con la kappa, anche lui) da qualche anno. Mirko è un marcantonio alto come un armadio e con le mani grandi come badili, che ricordano quelle del nostro Don Camillo.

<<Ciao, Denis, una cioccolata in tazza grande>>, Erika ordina con lo sguardo fisso nel vuoto.

Denis e io ci guardiamo negli occhi, mentre armeggia con la macchina del caffè.

Erika meccanicamente afferra la tazza. Beve. Paga. Esce dal locale.

<<Mai vista in questo stato>>, sussurra Denis.

<<Hai notato il livido sull’arcata sopraccigliare sinistra?>>, rispondo.

<<Negli ultimi tempi è sempre triste e silenziosa>>

<<Ma era una ragazza solare...>>

<<Mirko non lo vedo più in giro: è tutto casa e lavoro>>

<<Mi sembra tutto molto strano...>>, commento preoccupato.

Denis ha ripreso a lucidare boccali. Io non riesco a non pensare alla dolce Erika triste.

Esco dal locale.

Passeggio un po’ per viale Cavour fino a quando mi ritrovo davanti alla traversa dove abita Erika.

Mi domando quanto i miei piedi talvolta siano autonomi rispetto alla mia volontà.

Oppure obbediscono proprio alla mia volontà profonda e sanno veramente ciò che desidero fare?!

Non finisco di formulare il pensiero che sono davanti alla pulsantiera del citofono del palazzo di Erika.

Che cosa faccio adesso?

Mentre ci penso, il dito è già partito ed Erika mi sta chiedendo: <<Chi è?>>.

<<Sono Petronio, Petronio Ansaloni. Hai dimenticato il resto e Denis mi ha chiesto di portartelo, dato che ero di strada...>>

Erika mi risponde che non le sembra di aver dimenticato nulla, mi apre il portone e io salgo al primo piano.

La trovo dietro la porta, che mi guarda da un sottile spiraglio lasciato aperto dalla catenella.

<<In realtà non hai dimenticato nulla – faccio io -, avevo solo bisogno di parlarti un attimo per una questione delicata>>

Erika si rabbuia – ancora di più, se possibile – e mi dice: <<Tra poco arriverà Mirko e non posso farti entrare. Sai è… è un po’ geloso. Ci vediamo da Denis nei prossimi giorni e ne parliamo>>

<<Ma è veramente urgente>>

<<Petronio, ti prego, non insistere. Meglio che ci salutiamo>>

Comincia a chiudere lentamente la porta, ma io sono deciso a non mollare e inserisco il piede.

Un dolore terribile!

Vedendo la mia azione, Erika ha reagito di scatto, tentando di chiudere la porta e il mio piede è diventato un hamburger tra due fettine di pane tostato, ma ben tostato. Senza ketchup, per fortuna: non si vede sangue. A meno che non sia dentro la scarpa.

A sentire il mio urlo (penso che anche Denis lo abbia avvertito a centinaia di metri di distanza…), Erika ha riaperto la porta e mi sta facendo accomodare in cucina, mentre continua a scusarsi.

<<Non ti preoccupare, il dolore sta già passando>>, affermo con la peggiore delle bugie.

Mi siedo sulla sedia e la fisso negli occhi. Ha uno sguardo dolce, ma perso non so dove. Gli occhi vagano in una fitta nebbia, che non si vedeva da un bel po’ di anni qui nella bassa.

Cerco le parole, ma come al solito parto senza controllo e sento anche io per la prima volta quello che dico, come accade a Erika in questo momento.

Parlo di una ragazza allega e felice che frequentava il bar di Denis e che da qualche tempo non vediamo più, mentre chi viene a prendere la cioccolata in tazza è una donna smunta e disperata, che pronuncia qualche parola come se stesse parlando con dei fantasmi nell’aldilà e poi subito ci lascia ed esce dal locale. E noi rimaniamo con la sofferenza di chi vorrebbe fare qualcosa, ma non sa che cosa.

Erika dolcemente ha allungato una mano e me l’ha messa sulla bocca. Non ha la forza di premerla forte, ma io ho smesso ugualmente di parlare.

Mi guarda con quei suoi occhi persi nel dolore e tace.

Anche io faccio lo stesso. Che cosa potrei fare, del resto?

Sento che dentro di lei si agitano sentimenti contrastanti e le dico: <<Sfogati, non tenere dentro>>

E lei, come un fiume che non attendeva altro che infrangersi con tutta la sua violenza sugli argini, tracima.

<<I primi mesi sono stati bellissimi. Ci messaggiavamo quasi ogni ora. Tante faccine e cuoricini… anche lui… mi portava spesso dei fiori, anche di campo, raccolti sul ciglio della strada. Solo per farmi una sorpresa, per vedermi sorridere e correre a prendere un vasetto con l’acqua per farli durare qualche ora in più>>.

Una pausa.

Nel suo sguardo sembra riaccendersi la vita e rivedo la Erika leggera e solare di sempre. Sorride, guardando nel vuoto e nei suoi occhi balenano i ricordi felici del passato.

Poi, di nuovo, si rabbuia.

<<Ma era il nostro rapporto che iniziava a non durare più come prima. All’inizio si trattò solo di qualche domanda pensierosa: “Perchè sei arrivata più tardi?”, “Come mai ti sei preparata tanto prima di uscire di casa?”. Io rispondevo serena, ma lui un po’ alla volta mi faceva capire che non era soddisfatto, che le mie risposte non erano sufficienti a tranquillizzarlo, a dissipare i suoi dubbi, a spegnere la sua gelosia>>

A questo punto si interrompe un’altra volta.

Fatica a riprendere il racconto. Quasi stenta anche a respirare.

Poi il fiume tracima di nuovo.

<<E’ stata una sera di qualche mese fa...non ricordo più quale. E’ tornato dal lavoro con lo sguardo spento e una espressione cupa in viso. Ah, quando ci penso, sento ancora tutto il dolore di quello schiaffo, il bruciore sul mio viso, mentre nel cuore bruciava tutta la mia vita e mi cadevano addosso tutti i miei sogni infranti. Aveva provato a telefonarmi per un’ora intera, ma io non ero raggiungibile. Inutilmente ho provato a spiegargli che il cellulare era scarico e l’avevo messo sotto carica spento, come consigliano di fare>>

Adesso piange.

Singhiozzi silenziosi ma le lacrime le bagnano tutto: scorrono sul viso e finiscono sulla gonna, mentre è piegata in due sulla sedia di fronte a me.

Io non so che cosa fare.

Le appoggio una mano sulla spalla.

I singhiozzi diventano un pianto rumoroso e violento, che arriva dal profondo dell’anima, dalla voragine di giorni di silenzio e solitudine.

<<Fai bene, sfogati>>, le dico accarezzandole dolcemente i capelli.

Poi il fiume si scatena di nuovo, nessuna barriera può contenere il dolore.

<<Dal quel giorno è stato un crescendo. Domande su domande, interrogatori, mille dubbi che io non riuscivo a fugare e dopo discussioni e scenate, ancora la violenza di uno schiaffo o di una spinta che mi faceva cascare per terra o sbattere contro un mobile o il tavolo di cucina>>

A questo punto, improvvisamente Erika si blocca. Diventa rigida come il ghiaccio. Mi fissa e dice: <<Adesso devi andare via. Mirko sta per rientrare e se ti trova qui...>>

Ma ormai è tardi.

Il rumore dei passi pesanti sulle scale annuncia che Mirko è già fuori dalla porta.

Mentre sento le chiavi agitarsi nella toppa, Erika ha già aperto la porta-finestra della cucina e mi sta spingendo sul balcone.

Non posso che lasciarmi portare dalla sua energia disperata e mi schiaccio sulla parete per non farmi scoprire.

I due discutono.

Non riesco a vederli, ma li sento.

Domande e ancora domande, insinuazioni ed Erika fugge in camera da letto. Sento sbattere la porta e immagino che si sia chiusa dentro.

Ecco che ne approfitto e mi sporgo fuori dalla ringhiera. Poi la supero e sono fuori con la pancia nel vuoto.

E adesso che cosa faccio?

Come il moribondo che rivede tutta la sua vita in pochi secondi, mi ricordo della maestra che scuoteva la testa poiché non riuscivo a eseguire semplici esercizi ginnici in cortile. Sento il prof di ginnastica delle medie che mi dice: <<Petronio, tu hai un futuro come raccattapalle, esci mo ben dal campo>> e mi manda a prendere l’asta per recuperare il pallone che ho spedito sui rami, l’unico incrocio di pali che mi riuscisse!

E adesso sono qui: posso mica restare appeso per tutta la notte…

E uno e due e tre: mi lancio nel vuoto e atterro in malo modo sull’asfalto. Mica male, ero solo al primo piano e non mi sono rotto niente. Forse solo l’amor proprio esce un poco ammaccato. Avrei dovuto avere il coraggio di affrontare Mirko e convincerlo che così non va proprio bene.

Mentre ritorno a casa, massaggiandomi il fondo schiena dolorante (ma dentro tutto fa male di più), ripenso al racconto di Erika, al suo violento pianto liberatorio e vorrei sentirmi anche io la coscienza un po’ più sgombra, ma niente!

Tutta la notte trascorre tra incubi e violenti risvegli.

Che cosa posso fare?

Quale dignità è questa: voltarsi da un’altra parte, aggiustando il cuscino e dimenticare che una persona, così vicina a me, soffre!

Mi ritornano in mente gli ignavi danteschi, di cui ci parlava il prof. Squerzanti, fissandoci negli occhi quasi uno a uno e minacciando: <<Mica vivere così! Mica chiudere gli occhi e spegnere la coscienza!>>.

La mattina scendo giù dal letto in fretta. Una colazione veloce e sono davanti al bar di Denis, che mi vede da lontano e intuisce qualcosa. Quando ci si conosce da tanto tempo, ci si intende subito.

Gli racconto.

Mi ascolta.

Quando ho finito, non aggiunge nulla.

Tira giù la saracinesca, scrive ‘Torno subito’ col pennarello sulla pagina sportiva della “Nuova Ferrara” e l’attacca con lo scotch.

Quando lo facciamo chiamare durante una pausa di lavoro, Mirko non riesce nemmeno a immaginare perché siamo lì.

E’ proprio grosso, pensiamo Denis e io.

E che mani grandi…

Ma poi, come al solito, comincio a parlare che neppure io so come.

E sarò stato convincente, perché Mirko non tenta neppure una volta di zittirmi.

Mi guarda, sì, come un cane rabbioso che stia per azzannare, ma poi rimane immobile.

Anche quando gli dico che la prossima volta che vediamo un segno, ma anche solo un’ombra sul viso di Erika, ha finito di stare tranquillo e si becca una denuncia per direttissima in caserma dai carabinieri, <<perché il maresciallo Esposito ci va a nozze con quelli come te>>.

Lo lasciamo impietrito e, senza aggiungere un fiato, imbocchiamo nuovamente la strada da cui siamo arrivati.

<<Pensi che ci stia ancora fissando?>>, mi fa Denis.

<<Non ne ho la benchè minima idea>>

<<Mo ti eri preparato il discorso?>>

<<Macchè, lo sai come son fatto?! La lingua parte e non so nemmeno io quello che dico>>

<<Ma gli avremo fatto paura?>>

<<Non so che cosa sia passato per la mente a lui, ma io ci mancava poco che mi inginocchiassi a chiedergli di non farci troppo male… con quei badili lì>>

<<Un quel da nient! Io ero troppo impietrito per muovermi, altrimenti sarei scappato via>>, commenta Denis.

Poi ci guardiamo negli occhi ed esplode una sonora risata.

<<E dire che questa volta non potremo neppure raccontarla, boia d’un mond ladar! E’ troppo importante e delicata la situazione>>.

Poi iniziamo a camminare abbracciati come quando uscivamo la domenica sulla mura a sedici anni.

<<Li stess di Bud Spencer e Terence Hill: guarda Mirko che se ci fai prudere le mani...>>

E dopo un’altra risata continuiamo a camminare in silenzio.

Ma dentro si sente che facciamo festa.

(Domenico Allocca)










sabato 23 marzo 2024

La cattedrale di Ferrara riapre dopo cinque anni

 

La cattedrale di Ferrara riapre, gremita di gente. Dopo cinque anni di lavori per i danni del sisma del 2012 e dopo quasi novecento anni dalla sua fondazione.

E non sai se l'evento più grande sia la riapertura oppure vedere tante persone in chiesa,  in questi tempi difficili.
Si sta un po' col naso per aria cercando di riconoscere  forme e colori noti e familiari. È come ritrovare una vecchia amica, che non si vedeva da tempo. Ed ecco, dopo averla fissata per un po', si individuano i caratteri, che ce la fanno amare.
Le campane risuonano a festa, ma è la processione solenne che dà inizio alla celebrazione, muovendo dal palazzo arcivescovile.
I cori dall'abside inondano le navate di note e parole sante. I fedeli sorridono, c'è aria di festa di famiglia e la soddisfazione di essere di nuovo qui. Qualcuno scatta foto, c'è chi fa riprese col cellulare.
Ed è anche la Domenica delle Palme e il momento diventa ancora più importante e solenne.
Chiude la celebrazione l'ultima processione, che si conclude all'altare di Maria, Vergine delle Grazie e patrona di Ferrara.
(Domenico Allocca) 






giovedì 21 marzo 2024

Estasi glicemica: "Momento cassatina"

 

Ci sono degli attimi magici nella vita di una persona.

Quando metti in pausa tutto lo scorrere degli eventi, chiudi il mondo nell’armadietto e ti dedichi anima e corpo a quello che sai ti farà trascorrere un momento unico, un’estasi senza paragoni.

Per me si tratta di quello che chiamo il “Momento cassatina”, che – come si può facilmente intendere - ha come protagonista l’incredibile dolce siciliano, che talvolta può essere sostituito da un altrettanto portentoso cannolo, anch’esso rigorosamente “made in Sicily”. Non funziona con qualsiasi altro dolce (ho provato inutilmente con pampapato, ricciolina, tenerina e – udite udite - anche con l’insuperabile torta di tagliatelle), poiché lo sconvolgimento glicemico e la tempesta calorica, che vengono generate dai due suddetti portenti della pasticceria, non sono eguagliabili.

Ah, mi presento. Sono Petronio Ansaloni, impiegato di concetto.

Ma torniamo a noi.

Allora dicevamo.

Acquisto la suddetta bomba di gusto in un supermercato (di cui non rivelo altro, per non incorrere in sospetto di pubblicità occulta), poiché ovviamente qui a Ferrara è difficile trovare una pasticceria che la sforni.

Pasticci di maccheroni e cappellacci, quanti ne vuoi, ma la cassatina è allotria, quindi bisogna ricorrere a un piccolo stratagemma e accontentarsi del prodotto “congelato all’origine e decongelato in punto vendita”.

Qualche purista potrebbe obiettare che non sia la stessa cosa, che una cassata siciliana confezionata dalle sapienti mani sicule ha un sapore mooolto differente.

Ma la risposta è presto detta: piuttost che nient, l’è mej piuttost.

Allora dicevamo.

Acquistata la confezione nel supermercato, ecco che la difficoltà produce un raddoppio del piacere. Nella scatolina sono presenti ben due cassatine, quindi la bomba è doppia, la deflagrazione è potenziata e la base chimica del “Momento cassatina” viene esaltata al punto giusto.

Di solito mi reco con il prezioso bottino tra le mani in un piacevole parchetto, che sorge su via Caldirolo, dietro al cimitero di Quacchio. Qui c’è un grazioso angolo di campagna che – come solo a Ferrara e in poche altre città accade – è a ridosso delle mura, quindi ti fa assaporare la gradevole sensazione dell’aria estense, ma è abbastanza immerso nel verde e così entri in un’altra dimensione. Sì, poiché è proprio di questo che si tratta. Alcuni minuti di intenso piacere estatico, parlo di estasi incomparabile, in cui affanni e dolori della vita umana rimangono lontani.

Allora dicevamo.

Già il percorso dal supermercato alla panchina del parco ha qualcosa di mistico. L’anima si dischiude nell’attesa dell’imminente incontro e leopardianamente comincia a pregustare il momento.

Il pacchettino, che contiene il prezioso carico, garantisce l’imminente esplosione estatica. E qui la fantasia e il ricordo si mescolano e ritornano in vita le rimembranze di altrettanti voluttuosi incontri del passato.

Ed ecco che il sogno diventa realtà.

Arrivo alla panchina e mi seggo. Mi guardo intorno, cullato dal dolce cinguettio degli uccellini, interrotto talvolta dal gracchiare di qualche immancabile corvo.

In primavera la visione è arricchita da distese di filari di pesco in fiore, accarezzati da timidi raggi solari.

Di solito, quindi, apro la confezioncina e comincio a estrarre e gustare il piacevole contenuto, facendo attenzione a non farne cadere neppure un pezzetto. Cerco di prendere in un solo morso la glassa, la ricotta e il candito. I primi bocconi sono i migliori.

Le papille gustative impazziscono.

La glicemia schizza alle stelle.

Una vertigine mi avvolge e l’anima ringrazia il corpo per la performance.

Penso alla bellezza dell’esistenza umana (Leopardi, strigat mo ben), ai mille piaceri della vita: dal cibo all’amicizia, dalla musica all’amore.

Apprezzo la pace della nostra bella pianura: laboriosa, civile e tranquilla.

E così il naufragar m’è dolce in questo mare di verde, cielo azzurro e fiori colorati.

Che cosa si può desiderare di più? Pochi attimi di felicità…

E veniamo ai giorni nostri. L’altra mattina mi accingevo a dare vita al classico “Momento cassatina”.

Avevo curato sapientemente e rigorosamente ogni preparativo.

Arrivo sull’agognata panchina ed ecco che sbuca da un angolino Martino, il netturbino. Sta svuotando il cestino con il suo solito furgoncino. E’ molto diligente nella sua occupazione, un cultore del bel gesto e del lavoro pulito.

Mi guarda da lontano e mi saluta. E’ più gioviale del solito.

Si avvicina. Io intanto ho aperto la confezione.

Mi guarda con un lieve disappunto. Io mi blocco.

<<Mo ve’, non farà mica male tutto quel dolce lì. C’è della glicemia da star male>>

Lo guardo, immobile.

<<Non sono mica fatti miei, intendiamoci. Ognuno è libero di far quel che vuole>>

Continuo a fissarlo.

<<Il mio vicino di casa ha iniziato una cura per il diabete e non ne viene mica fuori, ormai>>

A questo punto, invece, fisso le due cassatine, come un padre amorevole. Voglio quasi convincerle della necessità del sommo sacrificio.

<<Ne vuoi mica una? Per me sono troppe>>, lo sto dicendo e non sono neppure sicuro che sia la mia bocca a parlare.

<<Se proprio insisti...>>, risponde lesto Martino. Lascia il sacchetto dell’immondizia e viene a sedersi sulla panchina al mio fianco.

Mi meraviglio, poiché di solito è ben schivo e non accetta nulla. Evidentemente stamattina non resiste alla tentazione.

Iniziamo a mangiare, entrambi con lentezza.

I primi bocconi sono i migliori.

Le papille gustative impazziscono.

La glicemia schizza alle stelle.

Una vertigine ci avvolge e l’anima ringrazia il corpo per la performance.

La cassatine sono terminate.

Ci guardiamo soddisfatti.

Penso che, forse, gustare in due il “momento cassatina” possa aumentarne il piacere.

… ma non troppo spesso, però.

(Domenico Allocca)




mercoledì 13 marzo 2024

Un nuovo giardino nel centro antico di Ferrara


Ormai manca veramente poco e piazza Cortevecchia cambierà ancora il suo volto per ospitare platani tra i sampietrini. Spettacolari aiuole a forma di tronco di cono accoglieranno le essenze arboree, creando coreografiche increspature del selciato. Un angolo storico della città si rinnova con originali soluzioni che permetteranno di raccogliere e conservare acqua meteorica grazie alla paventazione drenante. I tavolini dei bar con i loro fruitori genereranno l'effetto finale, creando un altro angolo del cuore per ferraresi e turisti.

(Domenico Allocca)





domenica 10 marzo 2024

Le Delizie tra Copparo e Tresignana, imparando dagli Estensi



La provincia di Ferrara è un territorio intriso di storia; grazie soprattutto alla presenza della Casa d’Este, che ha governato Ferrara ed il suo territorio dal 1264 al 1598, non è, infatti, raro imbattersi in preziose ed uniche testimonianze di quella che fu una delle più importanti signorie nel panorama italiano rinascimentale.

Se il quartier generale della famiglia era, ovviamente, a Ferrara, gli estensi affermarono il proprio dominio sul territorio costruendo un’imponente rete di monumentali residenze, chiamate Delizie; una sorta di sedi decentrate del governo, con un ruolo strategico nella bonifica del territorio, ma anche luoghi destinati agli svaghi, al riposo ed alla caccia nelle estese campagne ferraresi. E proprio per la loro capacità di “illustrare in modo eccezionale il riflesso della cultura del Rinascimento sul paesaggio naturale nel Delta del Po”, sono riconosciute tra i luoghi patrimonio dell’umanità Unesco.

Di queste delizie, tra la città e la campagna, se ne contavano oltre 50; oggi molte di queste sono andate distrutte, altre non sono più visitabili, ma quelle ancora intatte sono capaci di sorprendere il visitatore, che le scorge in tutta la loro magnificenza isolate nelle campagne o all’interno dei centri abitati.

Tre di queste si trovano tra i comuni di Tresignana e Copparo, a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra. La Delizia di Copparo è l’attuale sede del Comune, e quindi non aperta liberamente alla visita del pubblico; situata nel centro storico del paese, si presentava come un castello turrito e fu frequentato da Niccolò III e da Borso d'Este con le rispettive corti. Sotto Leonello d'Este furono realizzati affreschi, ora perduti, da parte di Nicolò Panizzati. Dopo essere stata saccheggiata e gravemente danneggiata dai Veneziani nel 1482, Ercole II ne commissionò la ricostruzione all'architetto Terzo dé Terzi che, tra il 1540 e il 1547, eresse un sontuoso palazzo con quattro torri angolari ed ampie sale affrescate da Benvenuto Tisi da Garofalo e Girolamo da Carpi. Purtroppo, però, nel 1808 fu gravemente danneggiato da un incendio e parzialmente demolito. L’intero corpo centrale dell’edificio è una ricostruzione del XIX secolo, mentre l’unico elemento di particolare pregio storico è la Torre Estense esterna sul retro del Palazzo, sede della biblioteca “Anne Frank” e dell’adiacente Galleria Civica di Arte Contemporanea che si colloca nelle ex prigioni Alda Costa. Posta a nord della Villa, questa torre aveva funzioni di osservazione verso il Po per paura delle frequenti scorribande di truppe veneziane. I lavori di ristrutturazione avvenuti negli anni ‘80 hanno posto in luce alcuni aspetti strutturali di notevole interesse storico, come l’esistenza dell'ingresso principale che conferma proprio l'orientamento generale della Delizia verso il fiume.

Nell’adiacente campagna, sulla sponda sinistra del Po di Volano, si erge, invece, la suggestiva Villa chiamata La Mensa. Fu edificata per volontà di Bartolomeo della Rovere, vescovo di Ferrara dal 1474 al 1495 e nipote di papa Sisto IV e, pur essendo stata modificata nel Seicento e nel Settecento, presenta ancora molti caratteri quattrocenteschi. La Villa, in realtà, non fu mai un bene degli Estensi, ma è collegata a casa d’Este per i personaggi illustri che la frequentarono e per coloro che la usarono come residenza, soprattutto i Vescovi della dinastia. E’ Patrimonio Unesco come tutte le Delizie Estensi ed è l’unica, ad oggi, ancora raggiungibile via acqua come all’epoca della costituzione. Di recente ristrutturazione, la Villa è aperta al pubblico ed è raggiungibile via acqua sul Po di Volano grazie alla recente realizzazione di un nuovo approdo. Entro la fine del mese di febbraio verrà inaugurata anche una nuova pista ciclabile interconnessa con l’itinerario VenTo (il collegamento Venezia-Torino con passaggio del fiume Po a Ro Ferrarese) in modo da porre la Delizia al centro di un’esperienza turistica a tutto tondo. Sempre a ridosso della primavera, domenica 17 marzo, è prevista un’apertura straordinaria della Villa per visitare, in compagnia di una guida specializzata, i suoi suggestivi ambienti e conoscere le storie che l’hanno vista protagonista.


A circa tre chilometri dal centro di Copparo, si trova anche la tenuta di Zenzalino, azienda agricola di 650 ettari all’interno della quale sorge l'omonimo Palazzo risalente al XV secolo, riedificato poi nel corso dell’Ottocento ed attualmente dimora privata, quindi non visitabile. Attorno al 1434 tale tenuta venne assegnata a Bartolomeo Pendaglia, secondo fonti l’uomo più ricco di Ferrara e vicinissimo al marchese Nicolò III d’Este, che qui a Zenzalino aveva ampliato e decorato la villa. All’interno della proprietà vi è anche un famoso allevamento di cavalli da trotto dove, nel 1995, nacque il famoso Varenne.


Nel comune di Tresignana, a circa un chilometro dal centro abitato di Tresigallo, città nota per la linearità dell’impianto urbanistico e per le architetture razionaliste degli anni Trenta del ’900, sorge infine Palazzo Pio. Questo meraviglioso palazzo risale al periodo tra il 1517 ed il 1531 grazie ad Alessandro Feruffino, capitano delle milizie del duca Alfonso I d’Este, che ne commissionò l’edificazione. La struttura del palazzo, composto da un corpo centrale a due piani e una torre laterale, fa pensare ad un centro padronale o a una delizia extraurbana utilizzata come residenza di caccia. La proprietà, in assenza di eredi diretti, venne affidata nel 1653 al cardinale Carlo Pio di Savoia, in seguito ai nipoti e poi venduto ad una lunga serie di proprietari sino al XX secolo. Nel 2009 è stato acquistato dal Comune divenendo proprietà dei tresigallesi. Recentemente ristrutturato, il palazzo è visitabile in occasione di iniziative speciali o su richiesta. Inoltre, per volontà del Comune, la Delizia vuole divenire il fulcro di attività legate al mondo delle arti: oltre a mostre di pittura e scultura, infatti, il Palazzo si pone come punto di riferimento e sede di progetti di residenze d'artista e relative opere di restituzione dei maestri che qui hanno dimorato, e sono in programma anche progetti di campus teatrali per i più piccoli e le giovani generazioni.



Per gli amanti della cultura, quindi, si tratta di un percorso di visita da mettere assolutamente in agenda per scoprire quattro meravigliose architetture e comprendere qualche dettaglio e sfumatura in più sulla suggestiva ed affascinante storia della signoria estense.

(Comunicato stampa)



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